Questo breve profilo che si sta per tracciare della serva di Dio madre Caterina di Gesù Bambino, al secolo Luigia Lavizzari nata a Vervio il 6 ottobre 1867 e morta a Ronco di Ghiffa, il 31 dicembre 1931, non può ritenersi esaustivo nel presentare una figura tanto ricca e affascinante qual è quella di colei che ha avuto la grazia e il carisma di far fiorire in Italia l’Istituto delle Benedettine del SS. Sacramento. Questa piccola ma significativa testimone che è Caterina Lavizzari propone con forte e gioiosa convinzione quella misura alta della vita cristiana che è urgente per la Chiesa. Con il suo costante ottimismo, la sua fiducia incollabile nella bontà del Dio che sempre ci è Padre, madre Caterina è testimone coraggiosa di quel grido di speranza “duc in altum!” con cui Giovanni Paolo II  ha portato la “nave” della Chiesa a salpare con slancio verso le acque del terzo millennio della storia. Dopo aver vissuto un’infanzia felice grazie all’amore dei suoi genitori due tempre sobrie e forti che educano i nove figli donati loro dal Signore alla luce del Vangelo e del profondo senso del dovere, senza permissivismi, in un clima sereno e aperto ai bisogni del prossimo, con particolare riguardo ai poveri, Caterina infatti all’età di 29 anni entra nel monastero di Seregno. Fin dai primi giorni di vita in monastero si rivela per quel che è: limpida, semplice, allegra e pia, abbandonata a Dio. La giovane postulante si muove con libertà tra le mura monastiche, mettendo il buon umore ovunque, ma accogliendo umile ogni correzione, senza per questo scoraggiarsi. La sua tempra aperta e forte è già pronta all’opera plasmatrice che Dio compie durante il tempo prezioso del noviziato. Il 12 maggio 1890 suor Caterina si dirige con la sua madre superiore nel monastero di Arres in Francia e vi resta per imparare la lingua francese e per essere formata allo spirito e alle pratiche di una benedettina del SS. Sacramento. La giovane novizia si accorge subito che le viene messa tra le mani un’occasione molto preziosa, potendosi sperimentare in un monastero in cui la vita è così regolare e fedele. Più che applicarsi allo studio del francese, suor Caterina è portata ad assorbire lo stile di vita, lo spirito tipicamente benedettino-mectildiano, ad assumere con acuto intuito quei modelli monastici che le saranno utili in futuro. E’ un nuovo orizzonte, è un vero mondo monastico quello che accoglie suor Caterina, con la solennità delle feste e la cura della liturgia, la regolarità e il culto di un’osservanza puntuale, e lei ne sente tutta l’attrazione; “ mi piaceva tanto la grande osservanza, puntualità, il silenzio soprattutto. Ammiravo come per non mancare al silenzio sacro si preferiva incontrare disagi e mortificazioni non poche (…) Molti tratti edificanti mi riempivano di santo desiderio di vivere quella vita. Qualche volta pensavo al disordine della comunità di Seregno”.  Tornata nella sua comunità di appartenenza viene incaricata di insegnare francese e catechismo per alcune ore nella scuola elementare annessa al monastero. Cresce il suo fervore, sta volentieri in adorazione davanti al tabernacolo, perdendosi in Gesù. Tra i vari incarichi,  dopo la sua elezione a Vice priora, c’è anche quello di infermiera, e di Maestra delle novizie ed è proprio la sua serenità e la sua buona dose di umorismo a rincuorare le giovani novizie nel cammino che stanno per intraprendere, piccoli gesti ma quanto bastano per incidere fortemente nell’animo delle giovani, come riferiscono le testimonianze “ quanti saggi consigli, quanti rari esempi indimenticabili avemmo… Non ci risparmiava sgridate anche forti, qualche castigo; di questi il più profondamente sensibile, era negarci il suo sorriso, la sua parola benevola, sostituendovi un contegno serio, una frase secca, tutto per il nostro bene spirituale…. Ciò che è più significativo è che madre Caterina infonda tanta serenità in un periodo in cui spiritualmente sta vivendo dei momenti di prova interiore, di aridità, di scrupoli, eppure non lascia trapelare questi disagi interiori, e infonde in tutte tanta pace e sicurezza. C’è sicuramente la mano di Dio, ma c’è anche un sano e forte equilibrio in lei, che sa “portare” i pesi dello spirito senza farli gravare su nessuno. A soli  trentatré anni madre Caterina di Gesù Bambino viene eletta a maggioranza di voti madre superiora, continuando a dispensare attenzioni particolari alle novizie, tenendo loro lezioni e conferenze sulla santa regola, sulle costituzioni, sul catechismo, sul carisma proprio dell’Istituto. Non trascura neppure le ricreazioni in noviziato, imparando a conoscere sempre meglio e da vicino le sue figlie più giovani: “ spesso la priora sfuggiva destramente alle ricreazioni delle madri, prendendo pretesto di qualche necessità e giungeva in noviziato, rallegrando tutte con la sua presenza. Le infervorava con le sue parole, le edificava con i suoi esempi…” Già il 13 luglio 1900, soltanto dieci giorni dopo l’elezione, la Madre annuncia al Capitolo che intende stabilire la clausura regolare, con le apposite grate nei parlatori, il 20 agosto la Madonna viene eletta Abbadessa dell’Istituto. Da subito madre Caterina opera un lavoro davvero capillare per confermare la vita e la stessa preghiera liturgica della Comunità alle prescrizioni delle Costituzioni, modificando ad esempio l’orario della preghiera dell’Ufficio, che sposta a sera inoltrata e,il giovedì  e la domenica, all’una e mezza di notte. Cura poi particolarmente la formazione monastica delle figlie, con letture e capitoli sulla spiritualità monastico- eucaristica. Nel 1906 si trasferisce a Ghiffa con le sue consorelle e la prima cosa che pensa di fare è di sistemare la Cappellina, “onde collocare decentemente il SS. Sacramento e stabilire la regolare osservanza”. Con la stabilizzazione della vita monastica a Ghiffa anche l’adorazione eucaristica diurna e notturna si regolarizza. L’11 luglio 1907 inizia l’alzata notturna per pregare l’Ufficio. E’ soprattutto alla luce dell’Ostia adorata che scandiscono questi primi tempi, in una grande povertà, nella condivisione di sacrifici e di disagi non da poco, ma rischiarati da una fede forte e cristallina, che sa scorgere la bontà di Dio nei piccoli e grandi aiuti che giungono al monastero. Gesù è al centro. È il tutto ….. “del piccolo monastero”: ed è già Paradiso! Dall’eucarestia viene la concordia e l’unanimità degli animi; tutte procedono unite a Gesù e docili alla Madre, nella certezza che “ se cerchiamo il regno di Dio, tutto il resto ci sarà dato in più” Grande è in questi primi anni l’attenzione educativa di madre Lavizzari per le sue figlie, per formarle anche tra i disagi della nuova abitazione a dare tutto al Signore con animo lieto, senza rimpianti e ritorni del cuore a Seregno.  Madre Caterina vuole che le sue figlie si perdano nell’amore di Cristo, abbiano a cuore le anime nella preghiera diuturna, e si scambino una sincera carità. Attenta e delicata è anche l’attenzione verso il piccolo territorio che circonda il monastero. Dal 1910 l’ancora giovane Comunità di Ghiffa si trova ad accogliere la richiesta di alcuni monasteri benedettini italiani, soprattutto del sud, di entrare a far parte dello stesso Istituto dell’Adorazione perpetua. La storia intraprende così un nuovo corso, in un dinamismo di richieste e di eventi che impegnano e coinvolgono madre Lavizzari in prima persona. Inizia così un capitolo singolare della storia dell’Istituto in Italia, con il fiorire di questi nuovi virgulti eucaristici, che interpellano in prima persona la Priora di Ghiffa, chiamandola a “ dare la vita” in modo inaspettato: viaggiando, recandosi nelle Comunità che stanno morendo, perché rechi aiuto, guidi, consigli, invii delle monache, con tutto lo strazio del cuore di una Madre che il più fedele delle volte si vede privata delle figlie più promettenti. Nasce così una storia di congregazioni tra cui il monastero di San Benedetto di Catania, il monastero Montevergine in Sortino, San Benedetto in Modica, Teano, santa Maria de Foris, monastero di Amandola, San Benedetto in Piedimonte d’Alife e il  monastero SS. Annunziata in Alatri. Madre Caterina si spende così, anno dopo anno, tutta per l’Ostia, nella sua Ghiffa. Morirà il giorno di Natale del 1931, tutto è compiuto. La sua parabola terrena è terminata, ma ora ha inizio la sua missione in cielo veramente universale. Essere madre vuol dire darsi, darsi per tutti. Sta solo qui il segreto della santità di un cuore buono, che lascia dietro a sé l’inconfondibile profumo di nostro Signore.

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